Le incursioni di Pippo
Una scimmietta al castello
Racconto di A. B. classe 1936
di Andrea Cocchi
Sì, ricordo il 25 aprile, ero ancora una bambina, ma ricordo bene perché proprio in quel giorno un militare americano mi regalò la mia prima gomma da masticare, non c’erano caramelle, ai miei tempi i dolciumi erano rari.
Ma in quel giorno di festa per tutti sembrava davvero che il mondo cambiasse. Io ero spaventata: nelle strade c’era una gran confusione e persino i carri armati, ma tutti erano felici, dicevano che la guerra era finita! Forse anche per me cominciava una nuova vita.
Io lo sapevo già che la guerra era finita: abitavo al castello di Bianello, con il Conte Girolamo Cantelli, la mia famiglia era al suo servizio da generazioni. Prima di lui aveva servito per molti anni Carlo Bacigalupo, figlio di un armatore di Genova. Il conte era fra i pochi ad avere una radio e con quella ascoltava Radio Londra, anche se era proibito. Infatti se i tedeschi lo avessero scoperto sarebbero stati guai, anche se lui, da nobile, aveva una posizione di privilegio.
Come dicevo la guerra era presente, ma fra le mura del castello si poteva ancora vivere decentemente.
Ricordo che i partigiani, per poter entrare al castello, andavano a chiamare mio nonno Carlo, ricordo che il tutto iniziava con il loro bussare alla porta della mia casa e con il chiamare mio nonno. Dicevano: “C’è Carlo?”, e noi: “Sì”. A quel punto mio nonno usciva e accompagnava i partigiani al castello in modo che, una volta al castello, la domestica del conte chiedeva: “Chi è?”, e mio nonno rispondeva: “Carlo”, e così lei li faceva entrare. Se avessero risposto i partigiani la domestica non li avrebbe fatti entrare perché sapeva che volevano approvvigionarsi di alimenti. Ricordo anche che un giorno sparì una mucca dalla stalla del conte, e fu subito chiaro che i partigiani l’avevano presa perché erano affamati e stremati dalla vita in montagna, spesso senza riparo, in clandestinità.
Una volta, io e la mia mamma, durante un bombardamento, fummo tenute per tutto il tempo sotto la minaccia di un fucile da un partigiano che forse aveva più paura di noi e che si era rifugiato nella cantina del castello.
Stavamo anche ospitando una mamma con sua figlia di soli due anni più grande di me, io ne avevo solo sette, lei, forse intimorita dagli scoppi, abbassò le mani che invece avrebbe dovuto tenere alzate. Il partigiano le sparò in una gamba, ma fortunatamente sopravvisse e la ferita non si infettò. In effetti ai miei tempi la linea fra vivere e morire era molto sottile. Forse per questo la vita aveva un valore diverso, più grande di quello cha ha oggi.
Il fratello di mio papà andò in guerra: lo mandarono in Egitto. Fu catturato e torturato, ma riuscì a tornare. Non volle mai raccontare tutto quello che vide e che successe, o forse non lo raccontò a noi perché eravamo ancora bambini.
Durante il periodo della guerra tutti i bambini calzavano zoccoli in legno con la suola in latta ricavata dalle scatole della passata del pomodoro. Io non avevo gli zoccoli, i nonni mi avevano cucito scarpe di pezza. Non tenevano i piedi caldi e a me proprio non piacevano. Così provai più volte a chiedere ai nonni scarpe diverse senza mai ottenerle.
Un oggetto che mi è rimasto dalla guerra è un proiettile di un cannone che ho trasformato in un vaso da fiori. Mi era stato regalato dalla moglie dello zio che era andato a combattere in Egitto, dove era stato catturato e tenuto prigioniero.
Uno degli episodi che ricordo meglio della mia infanzia è quando è arrivato il circo a Quattro Castella nel 1940. Mia zia Mercede era scesa in paese per vedere gli animali dentro alle gabbie. Rientrata al castello ha iniziato a raccontare a Bacigalupo quello che aveva visto. In modo particolare era rimasta affascinata da una scimmietta, un macaco, che le aveva catturato il cuore. Per farle un regalo, Bacigalupo inviò il suo autista in paese ordinandogli di acquistare la scimmietta del circo. Così il macaco arrivò al castello di Bianello. Il nonno la chiamò Gnecco. Gnecco era una scimmia dispettosa, vivace e gelosa di tutti. Quando Cesira, la cuoca, preparava il minestrone o il ragù e lasciava i pentoloni sul fuoco, Gnecco alla chetichella arrivava e, dopo aver sollevato il coperchio, mangiava tutta la carne e i legumi. Non c’era modo di poter fermare la scimmia dispettosa. Ogni volta che il fattore comperava le caramelle per me o i mandarini, Gnecco arrivava puntuale e pretendeva la sua parte. Poi scartava con ingordigia le caramelle e sbucciava i mandarini e li metteva tutti in bocca.
I nonni un giorno mi hanno comperato una bambolina di gesso alla fiera del paese. Aveva i capelli di lana grezza. Ero così contenta di quel regalo che custodivo gelosamente dentro un armadio! Non avevo fatto i conti con Gnecco. La scimmietta si era accorta infatti di questo regalo e, dal momento che a lei non era stato regalato nulla, è andata alla ricerca della mia bambola e, dopo averla trovata nell’armadio, l’ha buttata nel fuoco della stufa. La nonna, accortasi del dispetto, ha cercato di salvare la mia bambola, ma ormai parte della testa era bruciata.
Inutile dire che i dispetti di Gnecco non erano rivolti soltanto a me. Spesso si intrufolava nello studio di Bacigalupo e con i timbri del castello sporcava tutte le carte sul tavolo. La scimmietta entrava anche nelle stanze della servitù: mia zia Mercede e la Cesira usavano la cipria “Biancardi” per imbellettarsi il viso. Era una polvere finissima bianca per rendere la carnagione più chiara. Gnecco non sapeva resistere alla tentazione. Apriva la scatola e si versava tutta la cipria sul muso e sul corpo. Potete immaginare la rabbia che scatenavano queste sue marachelle!
Il guaio peggiore lo combinò quando scambiò per caramelle un tubetto di aspirine dell’autista. Ingurgitò tutto il contenuto come faceva sempre, ma fu colpita subito da semi-paralisi. Non si riprese più e da allora per muoversi doveva trascinare le gambe. Nonostante questo continuava a fare dispetti e a intrufolarsi in tutte le stanze.
Dopo due anni di vita al castello, un giorno venne in visita da mia zia Mercede la sorella minore Bruna che aveva partorito da due mesi una splendida bambina, Teresa. Tutti iniziarono a fare complimenti alla piccola senza pensare alle conseguenze che queste feste avrebbero potuto scatenare nella mente della scimmia gelosa. Appena Bruna mise a letto la bimba, chiusa nella stanza della sorella, Gnecco si intrufolò dalla finestra e iniziò a mordere il viso e le manine della piccina. Le sue urla disperate richiamarono tutto il personale del castello. La scimmia fu trovata ancora accanto alla bimba che era in un lago di sangue. Gnecco fece appena in tempo a scappare dalla finestra, ma il nonno la inseguì con le pinze della stufa e, grazie alla scarsa mobilità dovuta alla paralisi, riuscì a raggiungerla e a colpirla a morte fracassandole il cranio. La piccola Teresa si salvò, ma ancora oggi porta sul viso e sulle mani le cicatrici di quell’incredibile episodio.