Le incursioni di Pippo
La paura della guerra non si dimentica mai
Racconto di G. S. classe 1938
di Nicolò Sassi
Durante la fine della Seconda Guerra Mondiale la nostra casa era a San Bartolomeo, un paesino che è a circa 10 Km da Reggio Emilia, eravamo andati a San Bartolomeo perché sfollati dal centro della città. A Reggio non si riusciva a vivere, soprattutto nella zona dove abitavamo noi, ovvero a Santo Stefano, in via Montello, vicino al Ponte del Crostolo, a causa dei frequenti bombardamenti.
C’è un episodio che ricordo con grandissima lucidità avvenuto proprio in questa casa. Una sera abbiamo avuto notizia dai vicini che i tedeschi andavano verso Reggio per poi proseguire per Mantova e andare verso Nord. Quella sera i tedeschi passavano ad ondate e si sentivano i rumori degli scarponi e delle macchine che passavano di fianco a casa nostra che era in una curva stretta, per cui si sentiva il rallentamento e l’accelerata successiva appena superata la curva. Durante il rallentamento avevamo molta paura perché temevamo che si fermassero a prendere qualcosa. La nostra casa era formata da un pian terreno, da una cantina e da un primo piano e mio padre pensò, in quel momento, di portare la nostra famiglia e quella del mio amico in cantina. In cantina c’era dell’acqua a causa della vicinanza di un fiume. Noi eravamo con loro nella nostra cantina seduti su di un gradino per stare all’asciutto e, in quella posizione, siamo rimasti molto tempo sperando che nessuna ondata di tedeschi si fermasse. Ad un certo punto, alle prime luci del mattino, un gruppo si è fermato. Noi avevamo un cancello grande che avevamo chiuso con delle catene, sperando di essere più sicuri. Infatti tentativi di altre ondate erano andati in fumo.
Questo gruppo, invece, ha abbattuto il cancello con un autoblindo: hanno spaccato la porta d’ingresso e potete pensare al nostro terrore in quel momento a sentire quei rumori e le grida che a mano a mano si avvicinavano. Dopo aver abbattuto la porta principale, guarda caso, sono arrivati direttamente in cantina. Ricorderò sempre il mitra che era puntato sulla mia fronte, ero il più piccolo e loro pensavano che, impaurendo i grandi avrebbero ottenuto, più facilmente, tutto quello che volevano. Ci hanno fatto salire i gradini e, appena dopo la porta, ci hanno messi tutti e sei contro il muro e, fra di loro, parlavano in maniera agitata.
Non so come sia avvenuto, ma so che mio padre fece un cenno per chiedere se desideravano un po’ da mangiare e bere. In quel momento il capo fermò i suoi uomini e fece un cenno di assenso. Mio padre, mia madre e gli altri naturalmente sono andati di corsa in cucina e tirarono fuori prosciutti, pane, salame e tutto quello che avevamo, mia madre ha addirittura apparecchiato con bicchieri e vino. Tutto quello che avevamo lo abbiamo offerto a loro e forse, soprattutto il Comandante, ha capito che eravamo sinceri, che non c’era un tentativo di agguato anzi, noi avevamo paura che in quel momento potessero arrivare dei partigiani e, se fosse successo, naturalmente i primi a rimetterci saremmo stati noi. Dopo questo momento, che è durato circa un’ora, il Comandante ha capito che forse era troppo tardi e ha fatto cenno ai suoi soldati di uscire e di andarsene, non prima, però, di averci ringraziato con un “Danke sehr” pazzesco per quello che gli avevamo dato e che gli avrebbe permesso di sopravvivere almeno per quella notte. Uscendo, il Comandante, ha fatto capire che si scusava per aver rotto la porta ed il cancello, anzi, hanno preso le ante della porta e le hanno appoggiate contro il muro in modo da fare una piccola chiusura, infine hanno cercato di raddrizzare il cancello e di rimetterlo in piedi.
Abbiamo poi saputo che molti di quei tedeschi che stavano fuggendo sono poi arrivati a Mantova dove i ponti erano stati precedentemente distrutti dai bombardamenti degli aerei americani e non sapevano come fare se non stendere una corda da una parte all’altra del Po in modo da passare uno dopo l’altro.
Ecco, questo è quello che ricordo e vorrei trasmettere le sensazioni di questi momenti lontanissimi, di 70 anni fa, che però mi sono rimasti nella mente: bisogna lottare per la pace, che è l’unico bene prezioso che conta e, soprattutto, bisogna continuare a lavorare in maniera positiva, in amicizia e collaborazione. Ecco perché è giusto che, anche l’Unione Europea, debba fare la sua parte in maniera incisiva e potente.